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Gli studiosi Capurso e Catalano riportano alla luce storie sull'emigrazione politica a Corato
In cinque anni di ricerche hanno rintracciato le vicende di quasi 400 concittadini



Dopo oltre cinque anni di indagini condotte tra l’Archivio Centrale di Stato di Roma e l’Archivio di Stato di Bari, gli studiosi Giovanni Capurso e Vincenzo Catalano hanno riportato alla luce una pagina dimenticata della storia: l’emigrazione politica in Terra di Bari durante il regime fascista.

 

Il frutto di questa ampia e faticosa ricerca è un lavoro scrupoloso, basato in particolare sull’analisi dello Schedario Politico Provinciale della Questura di Bari, che raccoglie 4647 nominativi schedati come “sovversivi”, tra cui 389 coratini. Di questi, almeno 269 furono costretti a emigrare, soprattutto verso la Francia, gli Stati Uniti e il Sud America, per sfuggire alla repressione, alla miseria e alla privazione della libertà.

Ma accanto ai numeri, emergono soprattutto le voci degli esiliati, intercettate nelle lettere censurate dal regime, oggi conservate negli archivi. Scritti vibranti, talvolta amareggiati e colmi di indignazione, che restituiscono lo spirito di chi scelse di vivere lontano dalla patria pur di restare fedele ai propri ideali.

 

Dalla lettera di Cataldo Curatella, scritta da New York il 29 luglio 1937, traspare una feroce critica all’ipocrisia religiosa e al ruolo del clero sotto il fascismo:

 

Oh povera Italia, come sei arretrata… mi par di vederti ai tempi di Carlo Magno! […]. Cristo fu il primo socialista […]. Questi imbroglioni con le sottane nere […] spingono il popolo alla strage […]”.

 

Non meno potente è la voce di Savino Martinelli, che descrive le conseguenze della miseria e l’amarezza per la persecuzione subita:

 

La natura dei terreni e l’aria da 14-15 anni a questa parte ha finito di esaurire le forze morali ed economiche di un povero lavoratore […]. Queste canaglie […] venissero qui, dove non esiste impunità, e avrebbero visto, quelle quattro carogne putrefatte, come s’avrebbero fatto nei pantaloni […]”.

 

In una lettera inviata dalla Francia il 21 febbraio 1938, Giuseppe Spillone traccia un quadro lucido della situazione internazionale e del crescente pericolo di guerra:

 

Fui sul punto di farti una sorpresa […] avevo tutto preparato per un viaggio in Italia. Mia moglie mi fece parte del suo timore […] e cambiai progetto […]. Viltà? Forse […] ma passare la frontiera in questi momenti mi pare molto imprudente […]. Il formidabile sviluppo delle armi fasciste ci obbliga ad armare noi stessi […]. Questi pazzoidi, disgraziatamente al comando, hanno gettato il mondo nel gran marasma […]. Tutto concorda per farci credere che questi signori non vogliono passare la primavera senza uno sconvolgimento mondiale […]”.

 

Queste lettere raccontano non solo l’esilio, ma anche il peso delle ideologie, la nostalgia per la patria, la lucidità nell’analisi del presente e la premonizione della catastrofe in arrivo. Sono parole di uomini comuni, spesso provenienti da ambienti umili, ma animati da un pensiero critico e da una sorprendente consapevolezza storica.

 

Oltre alla documentazione politica, Giovanni Capurso e Vincenzo Catalano hanno rintracciato anche lettere censurate dall’Ufficio di Gabinetto, elenchi di cittadini definiti “elementi pericolosissimi” anche all’estero, e testimonianze visive che raccontano la memoria popolare di quell’emigrazione: un patrimonio sommerso che oggi chiede ascolto, dignità e riconoscimento.

Con questo lavoro, i due studiosi non solo recuperano documenti storici preziosi, ma ridanno voce a una memoria collettiva troppo a lungo rimossa, riaffermando il valore della libertà, della giustizia e della verità storica.



Comunicato Stampa



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